13 Ottobre 2015
Panorama.it
Fierro Federica, Alessandra –Fondazione Luca Romano ONLUS
QUANDO IL CIBO E’ UNA DROGA: TUTTA COLPA DEL CERVELLO.
In alcune persone l'aspettativa di uno snack succulento attiva le stesse aree del cervello che sono coinvolte nella dipendenza dagli stupefacenti. I risultati di una ricerca di Yale.
Si può applicare a ciò che ci tiene in vita, al nutrimento senza il quale non potremmo sopravvivere, la parola "dipendenza"? Sì, quando superata la soglia della sazietà ci rendiamo conto di mangiare non più per fame ma perché rispondiamo a uno stimolo più forte di noi. Un meccanismo molto simile a quello che scatta in chi fa uso di droghe, come spiega una ricerca appena pubblicata.
Ci sono persone che mangiano troppo, punto e basta. Altre che riescono a dimagrire ma poi non ce la fanno a mantenere i buoni propositi che li hanno fatti tornare in forma e riprendono tutti i chili persi, spesso con gli interessi. Che cosa spinge alcuni di noi a comportamenti compulsivi verso il cibo, che ricordano da vicino quelli di un drogato? Il rilascio di dopamina del circuito mesolimbico del cervello, rispondono i ricercatori dell'Università di Yale che hanno esaminato per la prima volta la relazione tra i sintomi della dipendenza da cibo e l'attivazione di determinate aree del cervello in presenza di segnali che indicano l'arrivo di un piatto appetitoso.
Grazie all'uso della risonanza magnetica funzionale Ashley Gearhardt e colleghi hanno potuto vedere la reazione di 48 donne, magre, sovrappeso e obese, all'arrivo di un milkshake al cioccolato. In coloro che avevano un punteggio alto nella scala della dipendenza da cibo, messa a punto proprio a Yale (Yale Food Addiction Scale ), all'arrivo del frappè si è registrata una maggiore attivazione di alcune aree del cervello, tra cui la corteccia cingolata anteriore , la corteccia mediale orbitofrontale e l'amigdala .
Le stesse regioni "sono implicate nella motivazione a mangiare e a consumare droghe nelle persone con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti", scrivono gli autori. "In sostanza", concludono gli studiosi nell'articolo pubblicato su Archives of General Psychiatry, "questi risultati confermano la teoria che il consumo compulsivo di cibo possa in parte essere causato da una aspettativa esagerata riguardo al cibo vissuto come premio".
Per questo per alcuni è così difficile limitarsi e anche dopo una dieta che ha avuto successo è invece così repentino il ritorno a comportamenti compulsivi che fa riacquistare i chili persi. Se alcuni cibi (magari proprio quelli più calorici) sono in grado di indurre dipendenza, starne alla larga o anche solo limitarne il consumo diventa più difficile.
E ancora più arduo è riuscire a moderarsi quando si vive circondati da continui stimoli visivi che richiamano il cibo e invitano al consumo, eccitando il sistema della ricompensa del cervello. Se poi quegli stessi cibi tentatori sono disponibili ovunque a prezzi bassissimi, passare dalla tentazione al consumo è questione di un attimo. L'ideale sarebbe eliminare le pubblicità onnipresenti di merendine e snack invitanti. E' la soluzione suggerita dagli autori, che però appare poco praticabile. Di sicuro comunque, dicono gli psichiatri, la ricerca dimostra che a poco se non a nulla serve colpevolizzare gli obesi come leva per indurli a mangiare meno, e i medici dovranno studiare altre strategie per aiutarli a stare alla larga dalle calorie.
26 Luglio 2015
Il Mattino
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
NAPOLI, ALLARME AMNÈSIA: TRE RAGAZZI CON DANNI GRAVISSIMI AL CERVELLO. ERBA «TAGLIATA» CON EROINA E ACIDI.
Studentessa dell'Umberto perde la capacità motoria dopo l'assunzione della droga. Nell'«erba» anche l'acido delle batterie delle auto.
La chiamano amnèsia, «amnè», è la droga della camorra, quella che gente senza scrupoli vende a basso costo nelle piazze di spaccio gestite dai clan alla periferia della città. In realtà è una marijuana di pessima qualità, trattata con gocce di metadone: dalla sua combustione - secondo quanto hanno rivelato le analisi dei laboratori della polizia Scientifica - si sprigionano fumi devastanti per la salute. Ha già mandato fuori di testa tre giovani napoletani, l’«amnè»: una ragazzina di sedici anni, studentessa del liceo Umberto, un suo amico di diciotto, e un diciannovenne del Vomero. I tre avrebbero fatto uso della stessa sostanza stupefacente, ma in momenti diversi. La ragazzina circa venti giorni fa, gli altri due qualche settimana prima. Tutti - assicurano gli amici - si sarebbero procurati la droga nel medesimo posto. Quale? Un locale di Chiaia dove, soprattutto nelle sere del fine settimana, si danno appuntamento gli adolescenti della zona. Si incontrano lì all’ora dell’aperitivo, si trattengono qualche ora, chiacchiere e drink, prima di spostarsi altrove per proseguire la serata. Ed è proprio in quel bar che gli spacciatori dei clan riforniscono i ragazzi di amnèsia.
L’hanno battezzata così, non si sa bene se siano stati i pusher o i consumatori abituali di cannabis. E il nome pare abbia anche un senso se è vero che questa sostanza, più simile a un acido che a uno spinello, ha il potere di garantire un viaggio oltre la memoria. Tagliando la marijuana con il metadone, l’eroina e addirittura l’acido delle batterie delle auto, lo stupefacente che ne viene fuori provoca una grave amnesia, caratterizzata non solo da una momentanea perdita di memoria, ma anche da mancanza di concentrazione, attacchi d’ansia e paranoia. Una droga devastante per il cervello e la psiche in grado di creare una rapidissima dipendenza in chiunque la assuma. Chi la acquista, se non la conosce, può pensare si tratti di semplice marijuana, invece no: i princìpi attivi della presunta erba sono quasi del tutto inesistenti. Le gocce di metadone e di altre sostanze psicotrope (tra cui l’eroina) spruzzate su quelle foglie essiccate creano una sorta di cocktail micidiale e altamente tossico che rischia di provocare effetti neurologici irreversibili.
È accaduto proprio ai tre ragazzi che, a distanza di alcune settimane, non sono ancora riusciti a recuperare la lucidità e, nel caso della studentessa dell’Umberto, sedici anni appena compiuti, nemmeno la capacità motoria. Dal giorno in cui ha fumato l’amnèsia, infatti, oltre ad attraversare momenti di delirio assoluto e totale disorientamento, non riesce più nemmeno a camminare come si deve. Una condizione analoga a quella che vivono gli altri due ragazzini: difficoltà di movimento, disturbi di memoria, di attenzione e delle abilità cognitive in generale. L’amnèsia - spiegano gli esperti - spegne intere zone del cervello, inganna i meccanismi chimici che regolano il suo funzionamento e altera in chi la utilizza la percezione della realtà. A orchestrare lo spaccio è, manco a dirlo, la camorra. Molti ragazzi, ogni sera, raggiungono Scampia per acquistare dosi di «amnè», quando non sono gli spacciatori a raggiungere le zone del centro. Una dose costa solo cinque euro. E tra gli zombie che popolano le piazze dello spaccio c’è chi inizia a fumare al mattino e finisce di sera. Ma il rischio maggiore non è nemmeno diretto ai consumatori abituali. No. Sono tanti i giovani, e i giovanissimi, che credono di aver comprato una bustina di marijuana senza nemmeno immaginare gli enormi rischi ai quali vanno incontro.
Maria Chiara Aulisio
14 luglio 2015
Corriere del Mezzogiorno
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
ALCOL E “ZOLLETTA MAGICA”, L’ASL: <<ADOLESCENTI IN PERICOLO>>.
NAPOLI - «Forse una nuova droga, o un modo per aumentare esponenzialmente gli effetti dei superalcolici. Onestamente non so ancora di cosa si tratti, ma sono molto preoccupato e credo che diversi giovanissimi nei fine settimana stiano rischiando grosso». Il nuovo pericolo per migliaia di adolescenti potrebbe aver assunto la forma di una zolletta, anzi di una «zolletta magica». A lanciare l’allarme, a margine del convegno «La Campania e l’alcolismo: percorsi, proposte e possibilità terapeutiche», è stato il dottor Giorgio Di Lauro, direttore del Dipartimento per le dipendenze patologiche dell’Asl Napoli 2 Nord. Abituato a sentirne di tutti i colori sulle mode e su tutte le follie che sul web diventano veri e propri tormentoni tra i ragazzi, Di Lauro ha iniziato ora a sentir parlare anche di una strana «offerta commerciale» che si starebbe diffondendo in uno o in più locali di Napoli. «La prima volta che ne ho sentito parlare – rivela Di Lauro – non ho dato molto peso alla cosa, spesso i ragazzi, soprattutto i giovanissimi, tendono ad esagerare un po’. So bene che i locali e i bar inventano le offerte più stravaganti ed economiche per invogliare i ragazzi a bere. E altrettanto spesso “chiudono un occhio” sull’età. Ma questa storia della “zolletta magica” era più che altro un sentito dire, racconti fatti da amici di amici; difficile capire quanto di vero ci fosse». Le cose sono radicalmente cambiate quando a parlare di questa «zolletta magica» con Di Lauro sono state delle insegnati. «Mi hanno detto che alcune loro alunne sono state colte da amnesia, un buco totale di 48 ore, non si ricordavano nulla del week end appena trascorso. Tutto dopo aver sciolto nella birra questa zolletta. Io non ho parlato con queste ragazze, ma di certo non ho motivo di dubitare delle insegnanti, che mi hanno anche mostrato una sorta di flyer».
Ovviamente Di Lauro non ha mai pensato che qualche locale possa aver creato un’offerta che comprenda l’uso di stupefacenti, tantomeno pubblicizzandola; è invece convinto che qualcuno abbia approfittato di quell’offerta per creare altre «zollette magiche», ben più pericolose. «Qualcuno mi ha anche chiesto se non si potesse trattare di semplice zucchero, ma lo escludo. Per aumentare il potenziale alcolico di una birra dovrebbe prima fermentare. E comunque non potrebbe portare ad amnesie. Spero di riuscire ad ottenere una di queste zollette, così da farla analizzare per capire cosa contiene». L’esperto ha poi voluto sottolineare l’importanza di appuntamenti come quello di ieri, l’unico modo che i medici hanno per confrontare le diverse esperienze in un mondo che cambia alla velocità della luce, anzi del web.
Nel corso della giornata di ieri, gli specialisti hanno anche confermato il pesante aumento nel consumo di alcol tra i giovanissimi, anche da parte di ragazzini di appena 12 anni. Con picchi tra i 15 e i 17 anni. Un fenomeno che il dottor Antonio D’Amore, direttore del dipartimento Dipendenze dell’Asl di Caserta ha definito «dilagante». «Nonostante questo - ha aggiunto -, non riusciamo ad aumentare l’afferenza ai servizi del territorio. Questo ci fa capire che esiste uno spread importante tra le persone interessate da alcolismo e i pazienti che chiedono aiuto. Del resto la presa in carico di questi pazienti è molto complessa e necessita di equipe multidisciplinari. Il vero problema è che i servizi in Campania, cosi come sono strutturati, non sono adatti ad offrire le soluzioni giuste».E sono molti gli specialisti dei Sert convinti del fatto che nella maggior parte dei casi i servizi territoriali non riescano a offrire risposte adeguate. Anzi, una delle più grandi difficoltà è proprio quella di riuscire ad entrare in contatto e conquistare la fiducia dei giovanissimi. Ragazzini che si perdono nella solitudine dei social, e che per questo nei week end cercano lo sballo ad ogni costo.
Raffaele Nespoli
1 Luglio 2015
Rivista Airone
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano ONLUS
LA PSICOLOGIA DELLA SBRONZA.
Perché ad adulti e adolescenti piace bere ed esibire questa passione pubblicando foto davanti a cocktail o bottiglie di vino? L’alcol stimola a perdere le inibizioni, ma non è l’unico motivo.
Amici che sorridono all’obiettivo mentre si stringono tra loro, ciascuno con un cocktail in mano. Colleghi alticci e con le cravatte allentate che scherzano a tavola. Basta collegarsi a Facebook per scoprire quanto il divertimento si sposi praticamente sempre con l’alcol. Bere ci stimola infatti a condividere le nostre emozioni: è inevitabile quindi che su Facebook ci piaccia mettere in mostra quel lato informale ed eccessivo di noi che gli alcolici riescono a tirare fuori. «Esattamente come un caffè, l’alcol non ha altro scopo che creare legami sociali», spiega ad Airone Paul Manning, antropologo alla Trent University di Peterborough (Canada) e autore di Semiotics of drink and drinking (Semiotica delle bevande e del bere). «È cioè un pretesto per stare bene con gli altri». In alcuni momenti questa funzione è molto evidente: è il caso dei brindisi o delle bevute celebrative per festeggiare un avvenimento. Tuttavia, se i social hanno evidenziato la capacità dell’alcol di creare convivialità, è anche vero che l’era di Facebook vede una riduzione del consumo di alcolici da parte di chi è più impegnato nelle attività online. Ad affermarlo è una ricerca dell’Università del Nuovo Galles del Sud (Australia) che mostra come il 50 per cento dei giovani tra 14 e 17 anni oggi si astenga dall’alcol contro un 33 per cento nel 2001. Gli esperti attribuiscono la tendenza in buona parte proprio ai social media, da Facebook a Twitter, che assorbono molte risorse. «Andare online», scrive sulla rivista Addiction il responsabile dello studio, Michael Livingston del Centro di ricerca dell’ateneo su droghe e alcol, «è un’attività che si impossessa dello spazio prima occupato dal bere e dai party. È un potenziale lato positivo del tempo passato davanti a uno schermo».
UBRIACHI E FELICI?
Al momento sembra di sì, ma si paga il giorno dopo con l’hangover, termine inglese che definisce un insieme di sintomi: mal di testa, debilitazione, nausea, vomito e dolori articolari.
Ma perché ci piace così tanto bere? «La maggior parte delle persone beve per il piacere del gusto, ma soprattutto per gli effetti gradevoli che l’alcol provoca: maggiore facilità nelle relazioni sociali e sessuali, euforia e rilassamento», ci spiega Franca Beccaria, sociologa presso l’Istituto di ricerca Eclectica di Torino. Questo è possibile grazie al sistema dopaminergico, il circuito cerebrale al centro dei processi collegati al piacere. L’alcol, così come cibo, sesso e droghe, attiva infatti l’amigdala, l’ippocampo, l’ipotalamo, il giro del cingolo e il nucleus accumbens, ovvero le parti più arcaiche nell’evoluzione del sistema nervoso, che sono fondamentali per motivare ogni nostra azione sociale, come per esempio chiacchierare e stare bene con gli altri.
Un rito di passaggio. Questo sembra valere soprattutto per i giovani. Per loro il piacere dell’alcol è legato in gran parte alla sbronza, che ha una funzione importante: «L’ubriacatura è un rito di passaggio, fisiologico in tutte le culture mediterranee», aggiunge Michele Contel, segretario generale dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol. «Rappresenta infatti una prova di coraggio e un modo per rendersi disinibiti, specie nei rapporti con l’altro sesso. Le ragazze infatti mostrano a questa età maggiore interesse verso i bevitori, a patto che sappiano reggere l’alcol». Del resto, sono innumerevoli le testimonianze antropologiche sulla funzione sociale dell’abuso di bevande alcoliche: «Tra queste c’è il Russefeiring, un rituale tradizionale in Norvegia nato nel Settecento e che oggi coinvolge i giovani all’ultimo anno di liceo, chiamati Russ», spiega Beccaria. «Per una settimana i giovani sono ingaggiati in competizioni goliardiche che li portano a bere ingenti quantità di alcolici». Anche se in Italia fenomeni di questo tipo sono ormai pressoché scomparsi, il consumo alcolico tra i giovanissimi è sempre importante. Oggi anche in Italia si parla di binge drinking, termine inglese che indica l’assumere alcolici in modo compulsivo, mischiandoli tra loro, fino a star male: un comportamento pericoloso del quale i ragazzi non si vergognano, ma che anzi è occasione per vere e proprie gare. Proibizionismo? Non serve Proibire, come capita in molti Stati americani, non è la soluzione: «A molti adolescenti statunitensi è precluso l’alcol per ragioni ideologiche o religiose», prosegue Contel. «Così, quando lasciano la casa per frequentare il college finiscono col farsi ancora più male perché la voglia di provare alcolici è forte e la capacità di resistervi bassa». Meglio quindi che abbiano modo di provare, perché prima o poi lo faranno, ma con la certezza che i genitori siano al corrente.
L’ISLAM LO VIETA.
Abdullah, sesto re dell’Arabia Saudita, brinda con un calice di vino. La religione islamica ne proibisce però il consumo così come tutti gli altri alcolici. L’alcol è infatti diversamente percepito nelle varie culture del mondo: ciascuna mostra un diverso grado di tolleranza in base alle norme sociali vigenti. Una fotografia viene dal recentissimo Global status report on alcohol and health 2014 dell’Organizzazione mondiale della sanità sul consumo di bevande alcoliche presentato lo scorso maggio. I dati, relativi al 2010, mostrano che nel Vecchio continente il consumo è diminuito del 10 per cento rispetto al precedente rapporto, nonostante l’Europa continui a bere il doppio rispetto alla media mondiale. Ed è proprio europeo il Paese più “alcolico” in assoluto: la Bielorussia, con 17,5 litri l’anno di alcol puro per persona. E l’Italia? Ci attestiamo sui 6,7 litri annui. Tuttavia nelle culture in cui l’alcol è proibito per ragioni religiose, come quelle islamiche, non è detto che il consumo sia assente: «L’esploratore francese Jean Chardin», spiega Manning, «racconta che lo scià Safavid di Persia beveva superalcolici di nascosto sotto il tavolo». In Europa, al contrario, il consumo di alcol è di fatto incoraggiato dalla pubblicità per la sua capacità di stimolare il primo approccio con l’altro sesso: spesso, infatti, nel mondo occidentale le relazioni tra sconosciuti possono essere condizionate dall’aspetto fisico e dall’inibizione iniziale.
Per i giovanissimi l’obiettivo è l’effetto di stordimento e non il piacere del palato. Non a caso da qualche tempo si è iniziato a parlare di pratiche estreme come l’eyeballing: superalcolici usati come collirio appoggiando il collo della bottiglia contro gli occhi. Obiettivo: far assorbire l’alcol attraverso i dotti lacrimali raggiungendo l’ebbrezza velocemente e senza ingerire sostanze che, a conti fatti, non piacciono a molti giovani. Però è una pratica inutile: «Di solito, per ubriacarsi, i ragazzi bevono 5-6 bicchieri di bevanda alcolica, una quantità che è impossibile far passare dagli occhi», ha spiegato in un’intervista Emanuele Scafato, gastroenterologo dell’Istituto superiore di sanità. Inoltre i danni all’occhio possono essere ingenti. Discorso analogo per un’altra moda: i tampax imbevuti di vodka che alcune ragazze userebbero per assorbire rapidamente l’alcol attraverso le mucose, evitando nausee e vomito. Anche qui l’effetto non è assicurato, al contrario dei danni all’organismo.
La birra ci fa vedere tutti belli. Ecco perché può capitare che durante una notte in discoteca diamo il numero di telefono a una persona che, sotto i fumi dell’alcol, riteniamo piacevole per renderci conto, il giorno dopo a mente lucida, che invece è brutta. È il fenomeno che in inglese si chiama beer goggles effect, l’effetto occhiali da birra. Tre anni fa ricercatori della Bond University (Australia) avevano sottoposto 80 studenti a un test durante il quale era stato chiesto loro di giudicare l’avvenenza di volti di alcune persone di sesso opposto. I ragazzi erano stati divisi in tre gruppi: nel primo i partecipanti erano stati invitati a bere fino a un livello di ubriachezza media, nel secondo fino a un livello di forte ebbrezza mentre il terzo gruppo era costituito da sobri. Risultato: in entrambi i gruppi di bevitori le valutazioni erano mediamente più positive rispetto a quelle di chi non aveva bevuto. «Grazie ai suoi effetti farmacologici l’alcol facilita l’abbassamento delle barriere difensive che regolano i nostri rapporti sociali», conclude Franca Beccaria. E così, presi dall’euforia, vediamo tutti più belli.
Il miglior rimedio antisbronza è bere tanta acqua.
In inglese si chiama hangover quell’insieme di sintomi da dopo sbronza: mal di testa, dolori e disturbi gastrointestinali, nausea e vomito, dolori articolari che ci colpiscono il giorno dopo una notte brava. A cosa sono dovuti? L’alcol è un diuretico: ubriacandoci ci disidratiamo e questo causa mal di testa. Inoltre produce un calo del glucosio nel sangue che genera spossatezza. Da qualche anno si studiano rimedi farmacologici: qualche anno fa, ad esempio, la Food and drug administration ha approvato il Blowfish, una tavoletta effervescente a base di acido acetilsalicilico e caffeina. Dagli Usa è arrivato anche Bytox, un cerotto che contiene vitamine e acido folico. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience, invece, dalla pianta dell’uva passa orientale si potrà estrarre una molecola capace di far passare l’ubriacatura e di dissuadere dal consumo di alcol. Tuttavia l’hangover può essere superato anche senza farmaci: basta bere molta acqua oppure bevande per sportivi ricche di sali che reidratano l’organismo.
Andrea Porta
17 Maggio 2105
Il Centro, ed. L’Aquila
Clarissa Francavilla, M. Rosaria Mottola – Fondazione Luca Romano ONLUS
CELANO, TRAVOLGE E UCCIDE UN 15ENNE CON L'AUTO E FUGGE, ARRESTATO.
La vittima, Marco Zaurrini, era sullo scooter insieme a un amico quando è stato investito dalla Volkswagen di Luigi Antidormi. L'uomo, sotto effetto di alcol e cocaina, è fuggito a piedi ed è tornato a casa. Ora è agli arresti domiciliari
CELANO. Sotto l'effetto di cocaina e alcol, con la sua auto ha investito in pieno un ciclomotore con due ragazzi a bordo e poi l’ha lasciato a terra, dandosi alla fuga. E’ morto, a soli 15 anni, Marco Zaurrini, giovane di Celano, che ieri sera era in compagnia di un altro adolescente, M.B., su uno scooter. E’ accaduto sulla strada che unisce Paterno a Celano, all’altezza del cimitero. Per la morte del ragazzo è stato rintracciato e arrestato Luigi Antidormi, 33enne celanese, già noto alle forze dell’ordine per una serie di reati. Antidormi intanto era ritornato a casa sua. Diverse le pattuglie della polizia del commissariato di Avezzano che sono intervenute sul posto. Antidormi aveva anche lasciato il suo cellulare nell’auto. Ora si trova ai domiciliari. Le accuse nei suoi confronti sono omicidio colposo e omissione di soccorso.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti Antidormi ha investito lo scooter, facendo sbalzare i due giovani sull’asfalto e poi si è dato alla fuga a piedi, lasciando nell'auto sia le chiavi sia il telefonino. Non si esclude che a casa ci sia tornato a piedi. Ma potrebbe anche essere che abbia chiesto un passaggio a qualcuno. Sottoposto ai test di droga e alcool è risultato positivo. L’auto su cui viaggiava risulta intestata alla suocera di sua sorella, estranea ai fatti. La morte di Zaurrini ha sconvolto la città di Celano. La notizia si è diffusa velocemente sul web e i social network gettando nello sconforto un’intera comunità. All’ospedale di Avezzano, intanto, nel reparto di Neurochirurgia, è ricoverato in condizioni gravi il suo amico celanese M.B., scaraventato a terra nell’impatto.
Magda Tirabassi
13 Maggio 2015
Il Messaggero
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
RAGAZZI PERSI NELLA BOTTIGLIA.
Elio contro l’abuso di alcol tra i giovani e i giovanissimi. Elio e le storie tese cantano “Bevi, bevi, bevi…..”. Il motivetto ti entra in testa, la musica ti carica ma la storia è tragica. Una come tante. Che lega l’eccesso di vino, birra e superalcolici ad un fine serata da dimenticare. Un incidente? Una corsa al pronto soccorso? Un cervello che funziona male? Potrebbe essere una o potrebbero essere tutte.
Gli “Elii” hanno accettato la proposta del ministro della salute della Salute Beatrice Lorenzin e hanno scritto una canzone antisballo, “Alcol snaturato, una serata speciale”. Niente prediche, né sermoni. Il gruppo ha scelto di parlare in modo schietto e dissacrante. <<Speriamo che le loro parole – dice il ministro Lorenzin in collegamento video alla presentazione della campagna al liceo Kennedy di Roma – arrivino alla pancia dei ragazzi e poi anche alla testa. Quanti sanno che sono più di 775mila giovani tra gli 11 e i 17 anni che consumano regolarmente alcol in Italia? Il 17% di tutte le intossicazioni alcoliche che arrivano al pronto soccorso riguardano dei ragazzi sotto i 14 anni>>.
A definire il quadro italiano è stato anche l’Ocse, ieri, in un rapporto su consumo di alcolici e impatto su società ed economia stilato per sollecitare i governi ad agire su un problema che è la quinta causa di morte nel mondo. Così anche in Italia è sempre più diffuso il “binge drinking”, ovvero il bere grandi quantità di alcol in breve tempo per ubriacarsi in fretta, perdere il controllo e divertirsi. E questo soprattutto tra i giovani e giovanissimi, mentre il consumo di alcol in Italia resta più basso rispetto agli altri Paesi occidentali con un calo del 40% rispetto gli anni Novanta: 6,1 litri pro capite l’anno in media ben al di sotto di Francia (12 litri) Germania (11) e Spagna (9,8).
Ma resta l’allarme per i ragazzi. Da qui l’obbligo a parlare ai più giovani, con un linguaggio diverso, non solo quello dei numeri, dei diagrammi e delle analisi degli esperti. <<Guardate che cosa ho inventato per farvi saltare un’ora di lezione – è l’esordio di Elio tra gli applausi generali – Cercherò di non essere noioso e parto da lontano. Frank Zappa, uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi che tutti considerano un’icona della trasgressione in realtà non consumava né alcol né droga. Lo sapevate? Il nostro obiettivo è far capire i danni che può provocare l’alcol nel vostro corpo>>. <<Danni irreversibili che potrebbero non farvi godere la vita futura – aggiunge Rocco Tanica, il batterista – Io sono per stravivere la vita, ma per tutta la vita. Non ve la pregiudicate con un errore adesso. Ho avuto un incidente stradale sotto effetto degli alcolici. Lì ho capito quanto sono stato stupido e, soprattutto quanto sono stato fortunato, visto che sono qui>>.
Racconta Beatrice Lorenzin: <<Stavo visitando un pronto soccorso e mi hanno mostrato una ragazza di 16 anni bellissima, ricoverata per essere caduta da un cubo della discoteca. Era in fin di vita, il suo fegato spappolato>>. Da qui la campagna, la richiesta ad Elio e ai suoi (www.unaserataspeciale.it). Perché i ragazzi sotto i 25 anni sono più vulnerabili all’alcol, perché si metabolizza con maggiore difficoltà. Perché il danno al cervello potrebbe diventare irreversibile, perché un incidente può minare la spina dorsale come la testa. Tutto questo per una serata, queste sono le dosi, a base di oltre 6 bicchieri di alcol in un arco di tempo ristretto. La campagna utilizzerà internet con l’obiettivo di “viralizzare” i contributi video sui principali canali social del web. Pronto l’opuscolo “Alcol snaturato”. Obiettivo era quello di rendere poco affascinante il modello di chi abusa di sostanze alcoliche e, soprattutto, del mix con le droghe. Il brano è accompagnato da un videoclip con la regia di Gianluca <<Calu>> Montesano. È stato girato interamente con la spherical cam. Un messaggio: per una serata speciale con gli amici, meglio la musica che gli effetti speciali di una sbornia o una gita in ambulanza.
Carla Massi
28 Marzo 2015
il Lametino (n. 216)
Clarissa Francavilla, M. Rosaria Mottola – Fondazione Luca Romano ONLUS
ALCOL E MODA: STRATEGIE DI MARKETING INDIRIZZATE AI GIOVANI
La diffusione della cultura del bere per i giovani è fortemente condizionata dalle modalità di presentazione delle bevande alcoliche. Un ruolo determinante assume il cosiddetto marketing, caratterizzato dall’insieme di strategie comunicative atte a facilitare l’incontro tra il bisogno del consumatore e il prodotto reclamizzato. É quanto emerge dalle ultime ricerche in campo sociologico della dottoressa Marilena Amico – da diversi anni dedita allo studio delle problematiche giovanili – che ha ritenuto necessario comprendere la natura e l’origine di tale fenomeno.
Trattare gli aspetti sociali del bere non è cosa semplice. Non è cosa agevole. É fondamentale, infatti, sviluppare una visione globale che tenga conto anche degli aspetti storici, economici e sociologici. Questi, devono successivamente essere integrati agli aspetti culturali, verso la scoperta di tutto ciò che poi si andrà ad associare al consumo di alcol. Proprio per questo non dobbiamo dimenticare che le moderne società sono caratterizzate dalla frammentazione sociale e dall’isolamento. In un simile contesto, i giovani e – più in generale – le categorie che vivono fasi delicate di crescita, si presentano più vulnerabili nonché soggetti a deviazioni di comportamenti, individuali e di gruppo, quali la trasgressione, la ricerca del rischio o la protesta. In questo scenario il consumo di alcolici diventa una sorta di distintivo culturale che caratterizza il gruppo dei pari nell’uso e, soprattutto, nell’abuso. Si tratta di una specie di trait d’union o, più semplicemente, di filo conduttore di esperienze e di comportamenti. Il bere alcolici assume una funzione rituale: è considerato come un rito, in quanto è in stretta connessione con l’esigenza da parte dei più giovani di definire se stessi e di relazionarsi con gli altri, in particolar modo con i loro coetanei.
Spinti da queste e altre simili ragioni, nasce l’idea delle grandi aziende di rendere il prodotto commercializzato bello e soprattutto diverso dagli altri. Libere da qualsiasi tipo di preoccupazione sociale, le imprese si avviano così in quel campo della produzione – e commercializzazione – delle nuove bevande dai colori sempre sgargianti, perfette esteticamente e dalle forme ricercate. Le stesse, molto spesso, non hanno neanche la necessità di essere degustate in un bicchiere, in quanto si presentano belle, facili da impugnare e ottime nell’uso stradale. Non potendo girovagare con dei bicchieri in mano, infatti, le aziende hanno puntato su bottiglie colorate che diano forza e integrazione nel gruppo dei pari. Sembra dunque lecito chiedersi quale sia la necessità di sviluppare colori diversi per lo stesso tipo di alcolico. Semplice, anche qui si cerca di andare incontro alla necessità del consumatore giovane e facilmente plasmabile, un consumatore che può finalmente scegliere una bottiglia di alcol da portare in giro, che sia in tono, non uguale ma in tinta, con il proprio modo di vestire.
É chiaro che un uomo di cinquanta anni – o anche più – sa per certo quanto sia inutile un simile ragionamento. Ma i giovani, molto spesso, non hanno questa capacità critica. Con la bottiglia colorata si integrano nel gruppo e, allo stesso tempo, si differenziano se l’amico non è riuscito a conquistare un coordinato vestire-alcolico come il suo. Per questo ultimamente le aziende hanno spostato l’attenzione dagli adulti ai giovani. É una scelta legata al profitto: il mercato è ormai saturo, siamo in piena crisi economica e risulta più semplice spostare i consumatori da un prodotto ad un altro, piuttosto che provare a conquistare nuovi clienti. Per vendere, la strada più opportuna sembra proprio quella di puntare alle menti facilmente plasmabili, quelle ancora in formazione, quelle spesso irresponsabili, insomma le nuove generazioni. Le case produttrici di alcol, infatti, sono sempre alla ricerca di nuove fette di mercato in cui inserirsi al solo scopo di mantenere i profitti e, il settore giovanile, non è solo il più plasmabile ma anche un probabile consumatore abituale del futuro. Il consumo di alcol assume, così, una funzione aggregante per rafforzare il senso di appartenenza. La pubblicità poi, più di ogni altra forma di comunicazione, propone un modello di mondo irreale, che porta ad evocare una rappresentazione della realtà fasulla. E il successo di una bevanda è spesso legato alla riuscita della collocazione di un prodotto presso i giovani, mirando al rinnovamento dell’immagine.
Questa sensazione è presente – anche se con qualche distinzione – in entrambi i sessi. Nessuna meraviglia, infatti, se si sviluppa con il sesso maschile la maggiore incidenza dei forti bevitori di immagine, soprattutto nelle province del nord Italia rispetto a quelle del sud o del centro. Certo, negli ultimi anni, il sesso femminile sembra molto più sensibile alle tattiche sempre più aggressive – al solo scopo di ampliare e di mantenere il volume di affari – messe in campo dalle aziende produttrici, ma il primato nel consumo resta agli uomini.
Il problema comincia ad essere talmente complesso, viste le situazioni di abuso alcolico sempre più crescenti, che in alcuni paesi dell’Unione Europea si promuovono forme di limitazione alla pubblicità di bevande alcoliche. Si comincia a pensare a dei codici di autodisciplina oppure a semplici divieti stabiliti per legge, cercando di valorizzare il vero problema delle conseguenze dell’assunzione di alcol – indiscriminata – sulla salute dei più giovani. Questo è molto importante, perché la cosa più importante, quando si parla delle future generazioni, è che non cada mai il silenzio.
Antonio Dimartino
21 Febbraio 2015
Repubblica.it
Clarissa Francavilla, M. Rosaria Mottola – Fondazione Luca Romano ONLUS
ALCOL, "MEZZO MILIONE DI GIOVANI BEVE TROPPO". ALLARME PER GLI INCIDENTI STRADALI.
I cardiologi: "Troppi cocktail e superalcolici danneggiano il cuore. Aumenta fino a 8 volte il rischio di aritmie cardiache fra i ragazzi". Mix con nuove droghe triplica rischio morte improvvisa.
BOLOGNA - Mezzo milione di ragazzi consuma troppo alcol, soprattutto nel fine settimana. Una cattiva abitudine che può provocare problemi cardiaci anche nei teen ager. Ma c'è un altro pericolo: cocktail e superalcolici sono responsabili della maggior parte degli incidenti stradali durante il week-end. A lanciare l'allarme un gruppo di esperti riuniti per il Meeting internazionale su fibrillazione atriale e infarto, appena conclusosi a Bologna. "Si comincia con l'aperitivo dell'happy hour, non ci si fa mancare un poco di vino o birra a cena, poi in discoteca qualche giro di superalcolici e svariati cocktail dai nomi fantasiosi. Alla fine della serata è tanto, troppo l'alcol bevuto da oltre mezzo milione di ragazzi durante il weekend - denunciano i cardiologi riuniti a Bologna - . A farne le spese non sono solo il fegato o il cervello, ma anche il cuore: bastano sei bicchieri di vino, tre di whisky o cinque cocktail alcolici per aumentare fino a otto volte il rischio di aritmie cardiache".
Secondo i cardiologi molti incidenti del sabato sera sarebbero causati proprio dagli effetti cardiaci del troppo alcol, perché le aritmie possono provocare svenimenti pericolosissimi se ci si trova alla guida. "La probabilità di danni seri cresce esponenzialmente se, come spesso accade, all'alcol si aggiungono sostanze stupefacenti come cocaina, ecstasy o le nuove "pillole" di droghe sintetiche che vanno per la maggiore fra i giovani: in questi casi il pericolo di effetti cardiaci anche letali aumenta di tre volte".
I pericoli del binge drinking. "L'abitudine a bere molto tutto insieme, il cosiddetto 'binge drinking' amato dai giovanissimi durante il weekend, è molto rischiosa per il cuore - spiega Alessandro Capucci, professore di Malattie dell'apparato cardiovascolare all'Università Politecnica delle Marche - . L'ingestione acuta di alcol aumenta la quantità di catecolamine in circolo: queste sostanze fanno da "innesco" alla comparsa di aritmie, la più frequente delle quali è la fibrillazione atriale acuta". Il 17% di tutte le intossicazioni alcoliche che si registrano nei Pronto Soccorso si registra tra minori, perfino di 11-12 anni vittime di "abbuffate di alcol".
Bere per sentirsi "accettati". Bevono per seguire una moda e sentirsi 'grandi' e accettati dai coetanei. Secondo la Società italiana di medicina dell'adolescenza, da una parte si beve per "essere accettati dal gruppo" (nel 47,6% dei casi), mentre nel 47,5% dei casi per divertirsi. Il problema per Cappucci sta anche nella "irresponsabilità dei ragazzi e, se per loro fortuna non accade nulla di drammatico in gioventù, da adulti tenderanno a pensare che tutto sommato l'alcol non sia dannoso: saranno perciò portati a continuare a bere senza porsi troppi limiti. A distanza di trent'anni è infatti probabile che il cuore non sia più quello di una volta e, complici fattori di rischio come un po' di ipertensione o ipercolesterolemia, la probabilitàdi andare incontro a una fibrillazione atriale dopo una grossa bevuta è molto più elevata che da giovani".
Le sfide on line. Fra le mode più diffuse che mettono a rischio la salute c'è quella delle sfide fra adolescenti sui social network. La gara a chi 'beve di più' ripresa da una telecamera e mandata in rete. soccorso. Si calcola che tra i 18 e i 24 anni il 24% di maschi affronta queste maratone. Una tendenza pericolosa. Anche perché il 13% di tutte le intossicazioni alcoliche dei teenager sotto i 14 anni si risolve con una corsa al pronto soccorso.
Adolescenti a rischio. Il consumo eccessivo di alcol mette a rischio la salute di molti giovanissimi, che sottovalutano i pericoli "di quel bicchiere di troppo". E' di questi giorni invece l'allarme è la Società italiana di psicopatologia (Sopsi) sull'aumento di malattie psichiche provocate da abuso di alcol e sostanze stupefacenti tra i ragazzi fra i 10 e i 19 anni. Nelle persone predisposte, aumenterebbe fino a 5 volte la probabilità di sviluppare gravi malattie psichiatriche, che solo in Italia colpiscono circa 2 milioni di persone. Mentre da un'altra analisi sull'abuso di sostanze (alcol, caffè ed energy drink) su 3011 adolescenti e giovani tra 16 e 24 anni: emerge che il 53,6% consuma bevande alcoliche e tra questi, l'89,6% ha avuto comportamenti di binge drinking (ingestione di 5 o più bevande alcoliche in un'unica occasione, almeno una volta a settimana).
I dati. Un problema quello della prevenzione che coinvolge persone di tutte le età. Una questione di salute pubblica, responsabile in Europa del 3,8% dei decessi e del 4,6 % degli anni di vita persi a causa di disabilità (DALYs) riconducibili all'alcol. Secondo i dati presentati nel corso dell'Alcohol Prevention Day, la giornata di sensibilizzazione promossa dall’Istituto Superiore di Sanità , in Italia sono quasi 8 milioni i consumatori a rischio, mentre 720 le persone che hanno una vera e propria dipendenza.
Valeria Pini
17 Febbraio 2015
www.ansa.it
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
DROGA E ALCOL, ALLARME SALUTE MENTALE GIOVANI.
Con super cannabis +25% rischio schizofrenia e disturbo bipolare
ROMA, 16 FEB - L'abuso di droga e alcol sta 'minacciando' la salute mentale dei ragazzi, anche giovanissimi, tra i quali è appunto in crescita il consumo di tali sostanze: il rischio di malattie psichiatriche per questa categoria di giovani, infatti, può aumentare fino a 5 volte. L'allarme arriva dalla Società italiana di psicopatologia (Sopsi) ed è anche confermato da un nuovo studio inglese, secondo cui fumare cannabis potente aumenta del 24% il rischio di malattie come schizofrenia e disturbo bipolare. Nei ragazzi di età tra 10 e 19 anni, avverte la Sopsi, ''stanno aumentano le malattie psichiche provocate da abuso di alcol e sostanze stupefacenti''. Infatti, ''l'assunzione di droghe - spiega Carlo Altamura, psichiatria dell'Università di Milano - oltre agli effetti immediati provoca gravi danni al cervello e, nelle persone predisposte, aumenta fino a 5 volte il rischio di sviluppare gravi malattie psichiatriche, che solo in Italia colpiscono circa 2 milioni di persone, come schizofrenia e disturbo bipolare". La droga cioè, sottolineano gli esperti della Sopsi, ''compromette il funzionamento del sistema nervoso centrale e le sostanze assunte regolarmente possono provocare alterazioni anatomiche della massa cerebrale''. In questi ultimi anni, avverte Altamura, ''tra i ragazzi sotto i 20 anni si registra un numero sempre più elevato di domande di aiuto per ansia e disturbi depressivi, spesso accompagnati da eccesso di alcol e droghe. Dobbiamo porre un freno a questa pericolosissima deriva''. Ad avvalorare l'allarme, vi sono anche i numeri che segnalano come l'abuso sia in crescita: una ricerca che sarà presentata al prossimo Congresso nazionale Sopsi, a Milano dal 23 febbraio, e condotta su 3011 adolescenti e giovani tra 16 e 24 anni, segnala che il 53,6% consuma bevande alcoliche e tra questi, l'89,6% ha avuto comportamenti di binge drinking (ingestione di 5 o più bevande alcoliche in un'unica occasione, almeno una volta a settimana). E non solo: fumare cannabis potente, come la 'skunk', aumenta del 24% il rischio di malattie mentali, schizofrenia e disturbo bipolare, secondo uno studio del King's College di Londra condotto mettendo a confronto 410 pazienti di un ospedale psichiatrico tra i 18 e i 65 anni che presentavano i primi sintomi di psicosi con 370 persone sane. Un rischio che e' cinque volte più alto per chi fa uso di cannabis ogni giorno. La ricerca, pubblicata su Lancet Psychiatry, e' stata realizzata dal 2005 al 2011 in un quartiere del sud di Londra, dove il consumo di droga è molto diffuso. ''Abbiamo scoperto - sottolinea Robin Murray, tra gli autori dello studio - un rapporto di causa-effetto tra l'uso di cannabis pesante e la malattia mentale". Chi invece faceva uso di hashish non è esposto ad un incremento dei rischi, precisano i ricercatori. È come per l'alcol: ''Bere un bicchiere di vino ogni tanto va bene, ma una bottiglia di whisky al giorno ti può mettere nei guai", dice Murray. Lo studio, conclude l'esperto, dimostra che "si potrebbero prevenire almeno un quarto di casi di malattie mentali se nessuno fumasse cannabis potente".
ANSA
8 Gennaio 2015
Data Manager Online
Clarissa Francavilla, M. Rosaria Mottola – Fondazione Luca Romano ONLUS
ALCOL, IL BINGE DRINKING DISTRUGGE IL SISTEMA IMMUNITARIO.
I festini a base di alcol in compagnia sono molto pericolosi: il binge drinking, che porta gli adolescenti a non essere più in grado di distinguere tra ebbrezza e ubriachezza, può distruggere il sistema immunitario
E’ quanto sostenuto da uno studio della University of Maryland in collaborazione con la Loyola University, che ha rilevato come anche solo un episodio di binge drinking, ora di moda anche tra i giovani italiani, possa compromettere gravemente il sistema immunitario.
Un risultato raggiunto attraverso una sperimentazione su 15 volontari di sesso maschile e femminile, di età media di 27 anni, a cui sono stati somministrati 4 o 5 shot di vodka. Di recente uno studio su 2400 adolescenti, pubblicato sulla rivista Nature, ha portato all’identificazione di alcuni fattori che consentiranno di prevedere chi abuserà di alcol, diventando un cosiddetto “binge drinker”.
Crollo dei globuli bianchi
La ricerca, pubblicata sulla rivista Alcohol, riporta gli esami del sangue effettuati dopo 20 minuti: il sistema immunitario dei volontari, immediatamente dopo l’assunzione, presentava un’attività intensificata. Il quadro poi è destinato a peggiorare con il passare del tempo: a due ore e poi a cinque dall’abbuffata di alcol, i livelli dei globuli bianchi subiscono un crollo preoccupante.
Ad allarmare gli studiosi è soprattutto la rilevazione nel sangue di livelli elevati di una proteina chiamata “citochina”, che normalmente è indice di un sistema immunitario meno attivo.
Aumentano i rischi per l’organismo
Sono inoltre stati riscontrati livelli più bassi di monociti e linfociti natural killer nel sangue e livelli più alti di un altro tipo di citochine, responsabili di inibire le reazioni immunitarie. Questi effetti collaterali si aggiungono ai pericoli di cadute accidentali e all’aumento delle probabilità di causare incidenti stradali.
“Ma c’è meno consapevolezza degli effetti nocivi dell’alcol in altri settori, come il sistema immunitario,” ha spiegato il co-autore della ricerca Elizabeth Kovacs, direttore del programma di ricerca sull’alcol della Loyola.
Uno studio che mette in luce come il binge drinking, oltre a rendere i giovani più esposti al rischio di incidenti e lesioni dovute allo stato alterato dell’organismo, abbassi anche le resistenze dell’organismo alle minacce esterne.
Valentina Scotti
2 Dicembre 2014
Corriere.it
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
CHI BEVE IL PRIMO BICCHIERE IN FAMIGLIA SI UBRIACA MENO.
La ricerca su alcol e giovani è dell’osservatorio permanente giovani e alcol e dell’associazione laboratorio adolescenza ed ha esaminato i comportamenti degli adolescenti di 5 città italiane.
Chi beve il primo bicchiere in famiglia si ubriaca meno. La ricerca su alcol e giovani della Società italiana di Medicina dell’Adolescenza, dall’Osservatorio permanente Giovani e Alcol e dalla Associazione Laboratorio Adolescenza, evidenzia come a fare la differenza, in un consumo sbagliato di alcol, sta dove si beve il “primo goccio”, se in famiglia o con gli amici. L’indagine, riportata sul Corriere della Sera, è stata effettuata su un campione di 1. 180 studenti di terza media residenti nelle cinque città metropolitane italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino e Palermo).
Dai dati dell’indagine – presentata a Milano nell’ambito del convegno “Adolescenti e alcol nelle aree metropolitane, precocità, modelli di consumo, fattori influenti” – risulta, in particolare, che gli adolescenti che hanno avuto il primo contatto con l’alcol in ambito familiare (e in Italia sono la maggioranza) mantengono un rapporto con le sostanze alcoliche molto più moderato rispetto a chi l’esordio lo ha avuto in ambito amicale. E ciò indipendentemente dalla precocità o meno dell’esordio. Cifre alla mano, chi ha bevuto il primo “goccio” con mamma e papà (il 40% lo ha fatto dopo i 10 anni, il 38% tra i 6 e i 10 anni e l’8,3% a meno di sei anni) ha dichiarato, al momento della rivelazione, nel 25,7% dei casi di essere completamente astemio, nel 57% di essere un bevitore occasionale e nel 17,3% di bere “spesso” bevande alcoliche. Viceversa, tra chi ha iniziato con amici (coetanei o più grandi), il 12,3% non beve, il 49% è un bevitore occasionale e il 38,5% è un bevitore abituale.
L’effetto calmierante dell’esordio in famiglia, rispetto a quello incentivante dell’esordio tra pari, è ancora più evidente quando si passa ad analizzare gli eccessi e quindi l’esperienza dell’ubriacatura. Tra chi ha avuto l’esordio in famiglia il 13% si è ubriacato una volta, il 3,9% più di una volta; al 69% è capitato di ubriacarsi senza volere, mentre il 23% cercava l’esperienza. Sull’altro fronte, a ubriacarsi una volta è stato il 17,8%, più di una volta il 12,8% e a cercare l’esperienza il 35,2%. “Depotenziare l’alcol dalla valenza trasgressiva – osserva Piernicola Garofalo, Presidente della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza – riducendolo ad una bevanda che, nei modi e nelle quantità opportune, può essere consumato in casa alla presenza dei genitori, è certamente un modo efficace perché non sia vissuto dagli adolescenti come la proibizione da violare e quindi indurli, come spesso accade, a misurare la propria “adultità” con la resistenza al bere. Per la stessa logica – aggiunge Garofalo – andrebbe però decisamente evitato anche l’assaggio in età precoce, sia pure simbolico, che ancora troppe famiglie propongono ai bambini, proprio per evitare che il bere venga interpretato come una sorta di rito iniziatico”.
Nonostante l’effetto protettivo che la famiglia può creare, l’indagine evidenzia che il condizionamento del gruppo dei pari al consumo di alcol è comunque forte, in particolare quanto concerne l’abuso. La percentuale di chi ha dichiarato di essersi ubriacato più di una volta passa infatti dal 7,5% al 53,8% se gli amici del proprio gruppo di riferimento non hanno frequentazione con l’ubriacatura oppure se la quasi totalità del gruppo ha avuto esperienze di questo tipo. E per quanto concerne le differenze di genere sono le femmine a soffrire di più il condizionamento dei pari. Ne è prova che mentre la percentuale dei “bevitori abituali” evidenzia uno scarto significativo tra maschi (22%) e femmine (14,3%), tra coloro che hanno già avuto ripetute esperienze di ubriacatura, evento che si verifica prevalentemente in gruppo, la distanza si riduce moltissimo (maschi 8,6%, femmine 7,0%). Il perché di questo fenomeno ce lo spiega Carlo Buzzi, sociologo dell’Università di Trento e direttore scientifico della ricerca: “Che nell’abuso le differenze comportamentali osservate tra maschio e femmine tendano quasi ad annullarsi dipende in parte dall’età del campione analizzato (12-14 anni), nella quale è molto probabile che le frequentazioni amicali delle femmine avvengano con adolescenti di qualche anno più adulti e, di conseguenza, con maggiore abitudine al bere. Incide però certamente anche il desiderio/necessità delle ragazze di dimostrare, all’interno del gruppo, la propria emancipazione, specie di fronte a comportamenti, come il bere, dai quali il sottrarsi può essere fonte di irrisione e emarginazione”.
Tra le motivazioni per la quale un adolescente può essere indotto a bere, le due ragioni che dalla ricerca emergono su tutte riguardano la dimensione espressiva: da una parte – ulteriore conferma di quanto si è già evidenziato – si beve per “adeguarsi al gruppo” (47,6%), dall’altra per “divertirsi” (47,5%). A poca distanza emerge però la dimensione esistenziale e l’alcol viene indicato quale strumento di coping, ovvero come strategia per fronteggiare le avversità: il 41,0% sostiene infatti che il consumo si giustifica per “dimenticare i problemi”. Seguono, in un ideale ranking gli elementi che favoriscono il consumo, tre motivazioni che appartengono in modo tipico alla cultura adolescenziale: lo “sballo” (34,2%), la “trasgressione” (29,3%) ed anche il “darsi delle arie” (26,2%) come manifestazione di ricercato prestigio nel gruppo. “La rappresentazione che la ricerca fa del comportamento degli adolescenti nei confronti delle bevande alcoliche, anche nei suoi aspetti critici - osserva Enrico Tempesta , Presidente del laboratorio scientifico dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol – richiede non solo un’attenzione responsabile al fenomeno, ma soprattutto la necessità di un approfondimento capace di comprendere la complessità e l’articolazione delle dinamiche sottostanti. È indispensabile evitare giudizi e soluzioni semplicistiche e sbrigative, anche perché stiamo parlando di adolescenti per i quali le dinamiche ed i comportamenti sono condizionati dalla contraddittorietà propria di questa fase di crescita. Pertanto – conclude Tempesta – anche le eccedenze (ubriacature) vanno approfondite con un’analisi non solo quantitativa, ma anche qualitativa per poter distinguere meglio quelle che sono espressioni temporanee e transitorie di tali contraddittorietà (e che spesso si esprimono anche con altri comportamenti a rischio quali bullismo, violenze, sfide sportive a rischio, etc.), da quelle che invece possono configurarsi come sintomo di una evoluzione rischiosa associata ad una vulnerabilità individuale”.
Maurizio Tucci
1 Marzo 2014
La Repubblica - Bologna
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
"TI NOMINO, DEVI BERE ENTRO 24 ORE"
ADOLESCENTI E ALCOL AI TEMPI DI FACEBOOK.
Così in rete sta dilagando una contagiosa sfida a chi scola la bottiglia. A Bologna, dopo Milano, comincia l’allarme
BOLOGNA -«Nominatemi! Ho voglia di golarmi un birrozzo alla goccia!». L’appello di Alessio (i nomi sono tutti di fantasia, ma le storie no) su Facebook verrà presto esaudito e magari non per la prima volta. Scoppia anche a Bologna la moda importata dai paesi anglosassoni della “sfida della nomina”, il gioco rischioso e contagioso del Neknominate, di ingurgitare fino «all’ultima goccia», birra, superalcolici o intrugli vari: chi è “nominato” (Grande Fratello docet) posta sul suo profilo Facebook il video della performance alcolica e un istante dopo “nomina” almeno altri quattro amici e amiche che vengono chiamati a fare altrettanto nelle successive 24 ore, pena la punizione di pagare da bere al “nominante”. Una catena logaritmicamente tendente all’infinito, una sfida fine a se stessa in cui si mostra orgogliosi la propria solitaria esperienza sul web alla comunità degli amici. Un gioco che si sta diffondendo a macchia d’olio di giorno in giorno e che i carabinieri stanno cominciando a monitorare nell’ignoranza quasi completa di insegnanti e genitori, mentre invece non c’è ragazzino della superiori che non lo conosca, per esperienza diretta o per averne conosciuto le regole e le manifestazioni dai compagni di classe o di web (e ovviamente nessuno ti dice che l’esperienza l’ha fatta di persona). Per conoscerlo, basta partire da una qualsiasi ramificazione che porta a un qualsiasi adolescente di una scuola superiore. Ecco Marco che stappa una Peroni da 33 cc. e la scola in 40 secondi. Ed ecco quel che segue nei commenti: «Ahaahaha illegale!». «Mo st’estate te faccio beve l’equivalente in vodka mica quel piscio de peroni e vediamo se vai in giro a nominà gente». Segue: «Come un mio amico che in gita s’è scolato direttamente dalla boccia una bottiglia di vodka liscia». Segue: «Contavi pure le gocce che bevevi?». Segue: «Dovevi scolarti quella da 0,66 cos’è quella m... di birra?».
C’è Alex che sta al gioco ma a modo suo: si fa vedere in primo piano seduto ad un tavolo e prepara il drink fai da te superproteico con limone, tè, nesquik, miele e un pizzico di autoironia: «Ecco fatto regaz». Un altro beve da una bottiglia di plastica una bevanda bianca, provocando una ridda di commenti sul contenuto, con sigle incomprensibili. Luca trasmette in video il suo ringraziamento per la nomina: «Mi sono deciso a fare questa c... ma non ho birra, mi arrangio con uno spritz». Due fidanzatini di un liceo festeggiano la nomina in birreria, con due pinte di birra. Lei dice: «Non ce la posso fare», ma alla fine finisce la birra d’un fiato anche se dopo di lui, che assicura «a me una birra non basta» e poi via con le nomine compresa quella di una amica, «le ricambio il favore perché mi aiuta in fisica» e stop al video con un bacetto sulle labbra. Sono parecchie le esibizioni in coppia, come quella di due che sembrano appena quattordicenni e quella di un’altra coppia di amici con le solite birre trangugiate in pochi secondi: «Ringrazio chi mi ha nominato per questo mezzo litro di m...», dice strabuzzando gli occhi uno dei due tra le risate dei presenti. Gli risponde Nadia nominata: «Oggi zero, sono ammalata, domani lo faccio». C’è una ragazza che porta la sfida un po’ più in là e si mostra con una tazzona di whiskey e la bottiglia sul tavolo.
In Australia e negli Stati Uniti nelle ultime settimane sono stati decine i ragazzi finiti in coma etilico e una ventina i morti. A Bologna, dopo Milano, comincia l’allarme.
Luigi Spezia
1 Luglio 2013
Gioia
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
ALCOL QUANDO “TROPPO” È DAVVERO TROPPO?
Si comincia con una birretta e poi si arriva ai superalcolici. La scusa è che aiuta a socializzare, ma presto assomiglia a una dipendenza. A Milano o a Londra, il fenomeno è lo stesso. I ragazzi pensano di avere tutto sotto controllo, ma il binge drinking è una patologia, con dei segnali precisi. Da non sottovalutare.
<<Nel bere come nell’amare ci vuole misura>>. Mauro Corona ci porta lì, sul crinale: quando è troppo. Ha scritto Guida poco che devi bere (Mondadori), un manuale per i giovani che faranno le loro prime bevute. Stando ai dati dello studio europeo Espad, i sedicenni italiani che bevono cinque o più volte lontano dai pasti (il cosiddetto binge drinking) sono il 34 per cento, benché sotto la media europea, pari al 39 per cento. <<In realtà sono solo più tolleranti, perché abituati a bere in famiglia, rispetto agli ingklesi, che sono invece più propensi a un consumo compulsivo>>, dice Sabrina Molinaro, responsabile dell’indagine condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa. In ogni caso, in Italia il 70 per cento dei giovani under 24 beve abitualmente e inizia, come in Inghilterra, prestissimo (11 anni). <<Il fatto che il binge drinking da noi sia in aumento si spiega con la tendenza a imitare i Paesi anglosassoni e con la mancanza di modelli del “bere moderato”, sbotta Michele Contel, vicepresidente dell’ Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol. Dietro queste cifre, se ne annidano altre. E più allarmanti. <<Le malattie legate all’eccesso di alcol sono 200, compresi 14 tipi di tumori. Una donna che beve più di un bicchiere al giorno, misura raccomandata dall’Oms, ha il 25 per cento in più di rischio di tumore al seno e i noduli delle adolescenti sono in aumento>>, spiega Emanuele Scalfaro, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità. Le donne hanno peraltro anche un sistema metabolico diverso: <<Assorbono l’alcol più velocemente, ma lo smaltiscono più lentamente. Sotto i 18 anni, la differenza di genere non esiste: entrambi i sessi non hanno ancora maturato l’enzima che distrugge l’alcol e basta una piccola quantità per provocare intossicazioni. Il rischio più grande è poi la modifica delle sinapsi che sono alla base dello sviluppo e della capacità razionale. In sostanza, si può rimanere infantili. Ecco perché la legge vieta la vendita ai minorenni>>. Il percorso, dal cicchettino con l’amica il pomeriggio alla patologia vera, è pieno di segnali: alla sensazione del piacere cerebrale (la gratificazione) e a una scarsa consapevolezza del problema, si accompagnano infatti la forte esigenza di bere durante la giornata, spese crescenti per le bevande e poco interesse per attività in gruppo. Allarmi che spetta alla famiglia cogliere. <<Magari lo facesse>>, sottolinea Federico Branzini, psichiatra e psicoterapeuta a Milano e nella clinica Le betulle, vicino a Como. <<l’alcol è purtroppo una sostanza legale, ho conosciuto ragazze che lo hanno scelto per protestare contro l’analfabetismo emotivo in casa: l’abuso è sempre il racconto di un disagio>>. O, come scrive Corona nel suo libro, <<qualcosa che, come l’amore, ci fa credere che contiamo qualcosa>>.
SILVIA, CHE OGNI SABATO FACEVA IL GIRO DEI PUB.
Capelli ricci, jeans, All star e due piercing, Silvia ha 24 anni. Mamma avvocato e papà medico, vive a Bologna, dove studia Giurisprudenza. Si racconta così: <<A 15 anni i miei primi sabati sera fuori li trascorrevo in questo modo: appuntamento in centro, il giro di pub e locali, due boccali medi di birra. Se qualcuno più grande mi accompagnava in discoteca, continuavo con Coca e rum. Tre, quattro ore solo per stordirsi. All’uscita un sacco di ragazzi vomitavano. A volte anche io. ogni tanto provavo a non ridurmi così, soprattutto se il weekend prima ero stata così male da “sboccare” l’anima. Ma se i tuoi amici cominciano, li segui. Diventi libera e rimorchi. Una gran cosa per una timida come me. Fino a 17 anni ho vissuto così. Per evitare l’incontro con i miei, tornavo tardi. Le rare volte che mi hanno scoperto, mi hanno fatto solo una cazziata. È finito quando ho smesso di andare in discoteca. Con i grandi non parli, sono passaggi che vivi da sola. Mio papà certe cose tendeva a ignorarle e con la mamma non avevo confidenza. Quando hanno cercato di capire non ci sono riusciti: per loro stavo solo crescendo. Sono cresciuta, in effetti, e di quelle bevute non ho più voglia>>. S.O.
Rossana Campisi
Maggio 2013
Largo consumo
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano – ONLUS
IL BERE RESPONSABILE NASCE SOLO IN FAMIGLIA.
Nonostante in altri Paesi europei la situazione sia peggiore, anche in Italia i ragazzi iniziano a bere alcol molto precocemente e spesso in famiglia.
Il consumo di alcol tra giovani e giovanissimi è un tema molto delicato, soprattutto in un momento come quello attuale in cui la condizione adolescenziale appare piuttosto fragile, anche a causa della esiguità di regole e modelli da seguire sia in famiglia sia all’esterno. Proprio all’approfondimento dei vari aspetti legati al rapporto degli adolescenti con le bevande alcoliche è stata dedicata una giornata di studio dal titolo “Giovani, alcol e comportamenti a rischio. Come promuovere una cultura della salute”, organizzata a Roma lo scorso dicembre dal Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’ Università La Sapienza e dall’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol.
Uno dei temi più critici emersi durante l’incontro è quello della cosiddetta “alcolizzazione precoce”, in aumento in molti Paesi tra cui anche l’Italia. Secondo i dati dell’indagine “Adolescenti e alcol” realizzata dall’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol in collaborazione con la Società italiana di medici dell’adolescenza (Sima) su un campione rappresentativo a livello nazionale della popolazione studentesca iscritta alla terza classe delle scuole di I grado (12-14 anni), risulta che l’8,2% ha avuto la sua prima bevuta alcolica prima di compiere 6 anni. la precocità con la quale molti giovani si avvicinano all’alcol è confermata dal fatto che il 29,5% ha avuto il suo debutto alcolico tra i 6 e i 10 anni, mentre il 41,6% dopo i 10 anni. In pratica, oltre il 90% dei giovani frequentanti la terza media ha già provato alcol e soltanto il 9,4% non lo ha mai fatto. In termini di ripartizione tra sessi, le ragazze si mostrano meno precoci dei loro coetanei, ma all’età della terza media le percentuali di chi ha fatto la prima esperienza alcolica si equivalgono tra i due generi.
Altro aspetto da sottolineare che emerge dalla ricerca è la presenza di adulti durante la prima bevuta alcolica degli adolescenti (73%), mentre risulta meno frequente l’esperienza vissuta in compagnia di amici (coetanei o più grandi), che riguarda il 18,3% degli intervistati. Il fatto che la gran parte degli adolescenti si sia avvicinata all’alcol nell’ambiente familiare – il 59% con i genitori, il 14% con altri parenti – implica che questa esperienza non ha nulla a che vedere con la componente della trasgressione o dello sballo. Questa interpretazione viene confermata anche dalla risposte sul luogo in cui si è svolta la prima bevuta: per quasi la metà del campione, infatti, è avvenuta a casa durante i pasti (37,9%) . quindi in una situazione di estrema normalità – o al ristorante o in pizzeria (10,5%). Una quota considerevole di giovani, invece, associa l’esperienza a un evento particolare come una festa, una ricorrenza o una vacanza (33,5%). Ancora più nel dettaglio, fra gli adolescenti che hanno bevuto alcol per la prima volta in presenza di adulti, per il 63,2% è stato durante un pasto a casa o al ristorante e per il 22,8% in un’occasione speciale, quindi la gran parte di questi si avvicina alle bevande alcoliche come accompagnamento ai piatti del pranzo o della cena, perciò in un clima di convivialità. Tra coloro, invece, che hanno fatto la loro esperienza, non con adulti ma insieme ad amici, i luoghi risultano più vari: il 31,7% lontano dai pasti ma in casa (propria o amici), il 30,1% a una festa, il 10% in vacanza, l’8,2% in gita scolastica, il 7,4% in un’occasione speciale e solamente il 7,1% durante un pasto a casa o al ristorante. Per quanto riguarda le sensazioni percepite dagli adolescenti durante la loro prima bevuta alcolica, il 46,5% ha affermato di non avere provato nulla di particolare. Un risultato del tutto in linea con la normalità dei pasti e delle presenza dei familiari, mentre un intervistato su quattro (25,4%) ha espresso un giudizio piacevole e, al contrario, un altro ha ritenuto l’esperienza sgradevole (23,6%).
<<Che in Italia il primo contatto con le bevande alcoliche resti per la grande maggioranza dei ragazzi mediato da occasioni familiari e dalla compresenza delle figure genitoriali – spiega Enrico Tempesta, presidente del laboratorio scientifico dell’Osservatorio giovani e alcol – è un tratto noto e caratterizzante della nostra cultura; un gesto in ultima analisi radicato in un costume sociale di bere controllato e, nella maggior parte dei casi, responsabile. Oggi, però, in un contesto socioculturale profondamente cambiato, in cui sono venute meno mo,te delle strategie tradizionali di contenimento e molti fattori di moderazione, l’inizio precoce presenta nuove valenze e nuovi rischi>>.
TIPO DI BEVANDE E DI BEVITORI
Passando ad analizzare la tipologia delle bevande alcoliche e la frequenza di assunzione emerge un dato forse inaspettato: primeggiano i cosiddetti soft drink a basso contenuto alcolico (53,5%) e non la birra (che segue con il 49,5% delle preferenze), un tempo la più diffusa tra il consumo adolescenziale. Più distanziati risultano il vino (39,1%), aperitivi e digestivi (34,9%), mentre i superalcolici, pur comparendo all’ultimo posto. Raccolgono più di una preferenza su cinque (21,1%). Alla luce delle risposte date dagli intervistati, gli autori della ricerca hanno delineato tre principali tipologie dei giovani bevitori occasionali (53,6%), il 23,3% da chi non beve mai e il 23,1% da adolescenti che bevono spesso almeno una bevanda alcolica. È interessante notare come tra chi ha provato il suo primo bicchierino in presenza dei genitori soltanto il 18,4% sia diventato bevitore abituale, mentre tra coloro che lo hanno fatto con gli amici ben il 52,9% consuma alcol in maniera regolare. Una buona percentuale dei non bevitori o dei bevitori occasionali ha fatto la sua prima esperienza durante un pasto in casa o al ristorante, mentre una buona quota dei bevitori abituali lo ha fatto a una festa o a casa di amici.
Un dato piuttosto allarmante è quello che vede il 22,1% degli adolescenti di 12-14 anni ammette di essersi ubriacato almeno una volta, un’esperienza molto diffusa all’interno del gruppo di amici dell’intervistato. Se, infatti, il 44,1% del campione dichiara che nessuno dei componenti della cerchia dei propri compagni ha mai sperimentato questo evento, oltre la metà degli intervistati (54,8%) confessa che l’ubriacatura ha interessato i propri amici: il 46,1% ha riguardato qualcuno e l’8,7% tutti. Si evince, perciò, una marcata correlazione tra chi alza il gomito e il proprio gruppo di amici, a conferma dell’elevato grado di influenzabilità dei giovanissimi soprattutto quando si tratta di emulare le abitudini dei coetanei. Tra le situazioni che concorrono a favorire il comportamento di abuso tra gli adolescenti c’è anche la facilità di accesso alle bevande alcoliche. La birra, per esempio, è reperibile senza problemi per il 59,2% del campione, il vino per circa la metà (49,8%), mentre i superalcolici risultano un po’ meno accessibili, ma non troppo (32,4%).sempre riguardo al fenomeno dell’abuso di alcol, un quinto delle famiglie affronta spesso l’argomento (19,4%), ma la stragrande maggioranza lo fa occasionalmente (53,7%) o non ha mai toccato il problema con i propri figli (26,2%). <<La presenza di lacune significative nel processo educativo da parte dei genitori in questo come in altri comportamenti a rischio – afferma Silvano Bertelloni, presidente di Sima – evidenzia il pericolo di una fuoriuscita traumatica dei giovani italiani dal cerchio protettivo delle abitudini al bere moderato familiare, con la conseguenza di rendere inconsistente il portato protettivo insito nella socializzazione, ma anche nella responsabilizzazione del giovane nel bere intrafamiliare. A questo proposito, sembra eclatante il rilievo che la sostanza alcolica più consumata dai ragazzi siano risultati gli “alcolpop”, cioè prodotti estranei alla cultura mediterranea e di cui probabilmente né ragazzi né, soprattutto, i genitori percepiscono la reale pericolosità.
CIÒ CHE SPINGE A BERE.
Tornando all’indagine dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol, gli aspetti motivazionali svolgono una funzione importante nella decisione degli adolescenti di avvicinarsi alle bevande alcoliche: la ragione più diffusa è per divertimento (49,5%), la seconda è per adeguarsi al gruppo di amici (45,1%). Più staccate risultano altre due motivazioni di natura squisitamente psicologica, tipiche dei giovanissimi: per darsi delle arie (38,5%) e per dimenticare i problemi (38,4%). Segue la voglia di sballare, una ragione più complessa delle precedenti perché è all’origine del fenomeno del cosiddetto “binge drinking” (bevute compulsive fino a ubriacarsi) e perché contiene in sé diversi motivi come il divertimento, l’adeguamento al gruppo, la ribellione, la fuga dalle difficoltà, la voglia di dimostrare di essere grandi. Sesta motivazione più citata per bere alcolici è la trasgressione con il 26,4%, mentre appaiono meno condivise ragioni come evadere (11,2%), sentirsi bene (8%), sentirsi più sicuri (7,8%), vincere la noia (6,9%) e aprirsi agli altri (5,6%). È interessante notare come cambi la percezione delle motivazioni al bere a seconda della tipologia dei giovani intervistati. Fra i bevitori abituali, infatti, le ragioni principali sono il divertimento e lo sballo (rispettivamente 59,1 e 50,2%), due concetti che per questi soggetti sono entrambi positivi e che sono legati alla sfera del piacere. Al contrario, i non bevitori sono maggiormente critici nei confronti del consumo alcolico, al quale associano principalmente due motivazioni discutibili come l’adeguarsi al gruppo (51,5%) e il darsi delle arie (44%). L’indagine, inoltre, ha sottoposto ai giovani intervistati una serie di affermazioni sul consumo delle bevande alcoliche, sulle quali poter esprimere accordo o disaccordo. I risultati hanno dato vita a un’analisi fattoriale che ha permesso di individuare tre distinti gruppi: il rimo tende a considerare il consumo di alcol come comportamento desiderabile (affermazioni come “bere dimostra di essere in gamba” o “di avere coraggio”), il secondo propende a giustificare il bere sminuendo gli effetti negativi (“meno dannoso della droga” o “la birra fa meno male di altri alcolici”) , mentre il terzo tende a stigmatizzare il consumo in ogni sua forma (“l’alcol rende violenti”, “fa male alla salute” o “gli alcolici favoriscono il consumo delle droghe”).
Nel corso della giornata di studio dedicata al rapporto tra adolescenti e bevande alcoliche è stata presentata anche un’interessante ricerca focalizzata sulla rappresentazione che la stampa quotidiana fa proprio sul binomio giovani e alcol. L’indagine, realizzata dal Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma, ha selezionato un campione di 250 articoli tratti dai due maggiori quotidiani a diffusione nazionale (Il corriere della Sera e La Repubblica) in periodi diversi (1999, 2003 e 2009), tre anni nei quali il legislatore è intervenuto con importanti normative sul consumo di alcol. Se nel 1999 sui giornali le parole più usate erano soprattutto “discoteche”, “sabato sera”, “ecstasy”, nel 2003 gli articoli puntavano l’attenzione su “droghe”, “incidenti stradali”, “patente”, mentre nel 2009 era il turno di “locali”, “chiusura”, “Comuni”, “ordinanze”. Nel corso degli anni sulla stampa quotidiana è aumentato lo spazio dedicato a resoconti o commenti caratterizzati da allarma e preoccupazione sociale, così come sono diventate più frequenti le analisi di costume che, partendo da un fatto di cronaca, tendono a trarre delle generalizzazioni relative al comportamento a rischio dei giovani. con il passare degli anni, si nota il passaggio dai contenuti che propongono la necessità di recuperare gli alcolisti alla società a quelli in cui invece prevale l’intento repressivo-proibizionista. Sulla stampa sono aumentate anche le divergenze tra politici ed esperti del settore sulle modalità di gestione, i primi che tendono a proibire, mentre i secondi puntano più a prevenire, informare e recuperare.
Fabio Massi
27 Settembre 2012
Rivista Viversani e belli
Catia Mastroianni – Fondazione Luca Romano ONLUS
LO SBALLO? ADESSO È LOW COST.
Bere fino all’incoscienza. Si tratta di una pratica importata da altri Paesi, soprattutto Anglosassoni , che si sta diffondendo anche da noi coinvolgendo giovani poco o per nulla educati al consumo responsabile di alcol. Oggi, poi, molti locali praticano forti sconti che non favoriscono certo un comportamento moderato.
In questo caso le promozioni non aiutano.
Questi fenomeni sono talvolta incentivati da promozioni commerciali tra le quali quella del low cost è la più diffusa: non solo e non tanto vino, ma aperitivi ad alta gradazione e intrugli di superalcolici venduti a pochi euro per incrementarne il consumo.
Basso prezzo e cattiva qualità di bevande consumate in quantità smodata costituiscono un mix pericoloso, che talvolta si coniuga con inauditi episodi di violenza. Come accaduto alcuni giorni fa a Mestre dove Gabriele Sinopoli, fratello del famoso direttore d’orchestra morto nel 2001, è finito in coma perché picchiato da un gruppo di giovani ubriachi dopo una serata a base di spritz low cost.
Si tratta di uno dei tanti comportamenti a rischio che, secondo l’Istat, coinvolgono quasi 8,2 milioni ragazzi italiani tra gli 11 e i 15 anni, cioè ben l’11% dei giovani in quella fascia d’età.
Binge driking:il binge driking consiste nel consumo di cinque o più bevande ad alto tasso alcolico in un intervallo di tempo molto breve. Gli scopi principali di queste abbuffate alcoliche (così si traduce letteralmente, l’espressione inglese) sono l’ubriacatura immeiata e la conseguente perdita di controllo. A causa degli affetti a lungo termine, il binge driking è considerato uno dei più grandi problemi di salute dei nostri giorni. Uno studio americano condotto su ragazzi tra i 18 e i 25 anni ha infatti dimostrato che questa pratica porta a un assottigliamento della corteccia prefrontale, cioè di quell’area del cervello che regola funzioni come mantenere l’attenzione, elaborare emozioni, prendere decisioni e regolare gli impulsi.
Pub crawling: si tratta di maratone alcoliche per gruppi numerosi di ragazzi, soprattutto stranieri, con tanto di guida, che toccano un certo numero di locali e che vanno molto di moda a Roma, sebbene un’ordinanza comunale ne abbia vietato la pratica già dal 2011. Pub crawi significa “arrancare per pub”. Un nome, un programma. Se si pensa che quest’estate un diciannovenne americano è annegato nel Tevere a seguito di uno di questi circuiti alcolici. Reclutati attraverso internet o il passaparola, all’inizio del tour i ragazzi pagano circa 20 euro: poi, più bevono, più ottengono bevute, naturalmente gratis.
Il primo bicchiere a 13 anni.
Secondo un’indagine Doxa condotta per conto dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol; il primo assaggio avviene in media verso i 13 anni, mentre il consumo vero e proprio inizia a 15. Tra gli Italiani con più di 13 anni, solo il 20% si dichiara astemio, mentre il restante 80% ha consumato alcolici almeno una volta negli ultimi tre mesi. Un focus sulla popolazione tra i 13 e i 24 anni (il 15% degli Italiani) evidenzia il consumo di alcol nel 70% dei casi, con un’alta percentuale di giovani a rischio di abuso (23%). Tra questi rientrano i casi di binge drinking: una pratica sperimentata già a 16 anni dal 14,6% dei ragazzini, percentuale che sale al 21% nella fascia d’età tra 20 e 24 anni. Parallelamente l’Istat ha rilevato che la quota dei ragazzini tra i 14 e i 17 anni che consuma alcol fuori pasto è passata, dal 2001 al 2011, dal 15,5 al 18,8%.
Alla base di un uso pericoloso dell’alcol, ci sono soprattutto ragioni psicologiche e sociali: l’assenza di punti di riferimento, l’incertezza di lavoro e prospettive, l’incapacità di saper gestire le sconfitte, la solitudine. <<L’alcol disinibisce e ci permette di essere ciò che non siamo. Soprattutto nell’adolescenza è facile avere la tentazione di ricorrere a qualcosa che faccia sentire di essere uguale agli altri. Oggi, poi, i giovani sono iperstimolati e crescono con sempre meno regole. Tutto ciò li destabilizza e l’alcol può diventare un modo per trovare una collocazione nella società>> dice la psicologa Cristina Caligiuti.
Una premessa è necessaria. A differenza delle droghe, delle quali è riconosciuta la pericolosità e condannato l’utilizzo, l’alcol è una sostanza socialmente accettata, vista come fattore di aggregazione e convivialità. La tradizione enogastronomica italiana e la nostra abitudine “culturale”, ai piaceri della tavola, compreso il vino, spiega in parte il minore controllo da parte degli adulti rispetto ad eventuali condotte a rischio dei propri figli. << Rispetto a comportamenti socialmente accettati cresce nei più giovani la mancanza di consapevolezza. Ciò perché i consumi si sono globalizzai>> spiega Michele Contel, vicepresidente dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol. << Nella nostra tradizione si bevevano prevalentemente vino o birra, ai pasti, insieme alla famiuglia. Fenomeni come il binge drinking o il pub crawling derivano da tradizioni del Nord Europa, dove il bere ha valore di iniziazione o è legato a un’idea trasgressiva di movida. Il fatto che i nostri ragazzi siano abituati a viaggiare e ad avere contatti frequenti con altre culture ha fatto attecchire anche da noi queste pratiche>>.
Agevolare l’accesso all’alcol favorisce il consumo anche tra chi non è in grado di gestirlo e rischia di alimentare comportamenti a rischio. Le promozioni a basso prezzo o il consumo a costi forfettari (strategie rese possibili dallo smercio di enormi quantità di bevande e, magari, dalla scelta di prodotti di scarsa qualità) vanno purtroppo in questa direzione. Tuttavia <<non si tratta di demonizzare coloro che vendono bevande alcoliche, ma tutti i comportamenti che fanno leva sulle debolezze delle persone per trarne guadagno sono da condannare. Non è accettabile abbassare i prezzi a livelli stracciati o premiare chi beve di più, magari con ulteriori opportunità di bevute. Viceversa non si può neppure pensare di risolvere le cose aumentando i prezzi perché in questo modo si penalizzano coloro che bevono correttamente>> spiega Contel.
La carta da giocare, l’unica realmente efficace, è invece quella educativa. Si tratta di coinvolgere tutti, famiglia, scuola, istituzioni, commercianti, in un percorso che insegni a chiunque, soprattutto ai giovani, a bere con consapevolezza. << Bisogna investire sulla prevenzione per recuperare e trasmettere il valore alimentare dell’alcol>> sostiene il vicepresidente dell’Osservatorio. <<Ed è un lavoro da iniziare in età molto precoce. Parallelamente bisogna riorganizzare il contesto di vita dei giovani, dal territorio, alla scuola, al tempo libero fino ai servizi di presa in carico dei ragazzi che presentano specifiche vulnerabilità, così da rispondere in modo efficace al loro bisogno di relazioni e punti di riferimento. Se, viceversa, si lasciano soli, il disagio è destinato a crescere>>.
Premesso che la tolleranza alle bevande alcoliche è in parte soggettiva, perché dipende da fattori biologici che possono rallentare o accelerare l’assorbimento dell’alcol. Bere molto porta sempre conseguenze negative all’organismo, perché la molecola dell’alcol si diffonde e raggiunge ogni organo. Gli effetti più “leggeri” sono quelli a breve termine, legati alla contingenza del consumo. Essi sono di tipo cognitivo e comportamentale: si riduce la capacità di ragionare, si rallentano i riflessi e si allentano i freni inibitori. Tutto questo si verifica anche prima di essere ubriachi e sono sufficienti 0,50 gr di alcol per litro di sangue (che è il limite fissato dalla legge italiana per poter guidare).
Non si può certo stabilire un automatismo tra consumo eccessivo di alcol e comportamenti violenti. Questi due fattori, però, possono correlarsi quando si combinano la riduzione dei freni inibitori data dal bere, attitudini personali tendenti all’aggressività e l’esaltazione imitativa che può scattare quando si è in gruppo. Quando questi elementi si mixano, allora possono scatenarsi reazioni violente al minimo stimolo. <<Il fatto che nelle città si creino spontaneamente luoghi deputati al consumo smodato di alcol è un problema, perché sebbene bere molto non induca necessariamente ad essere aggressivi, una personalità già tendenzialmente violenta perde le inibizioni>> dice Michele Contel. <<Si creano così “zone franche” nelle quali lo sballo è un fattore di richiamo e che diventano potenzialmente pericolose, generando anche un cortocircuito tra allarme sociale e sicurezza che fa scattare divieti a raffica, tensione tra norme di difficile applicazione e buon senso>>.
I danni permanenti.
<<A livello cerebrale favorisce un invecchiamento precoce del cervello e lesioni degenerative che determinano encefalopatia e polineuropatia tossica; a livello del fegato può causare steatosi, cirrosi e tumore>> spiega il dottor Marco Viaggi, medico di Medicina Interna al Sert di Budrio (Bo). <<Inoltre, favorisce l’infiammazione del pancreas (pancreatite) e agisce anche sull’apparato cardiocircolatorio (aumento della pressione)>>. L’abuso di alcol può portare a tumori del cavo orale, soprattutto associato al fumo e, in gravidanza, può causare la sindrome alcolfetale, che porta malformazioni della struttura ossea e degli organi interni del feto. Infine, inibisce la capacità sessuale e può portare all’impotenza.
5 regole di sicurezza.
1. Bere con moderazione e, soprattutto, prodotti di qualità e dei quali si conoscano origine e provenienza. Una raccomandazione è arrivata di recente anche dal ministero della Salute in seguito alle notizie di intossicazione da metanolo industriale provenienti dalla Repubblica Ceca e dalla Polonia. Il metanolo è infatti una sostanza molto pericolosa: anche solo un sorso può determinare cecità, coma irreversibile e morte. Se aggiunto a bevande alcoliche non è possibile percepirne né sapore né odore;
2. non bere fuori dai pasti e, comunque, mai a stomaco vuoto per ridurre l’assorbimento dell’alcol;
3. evitare i mix di alcolici diversi;
4. mai mettersi al volante dopo aver bevuto;
5. non mescolare l’alcol con altre sostanza come droghe o psicofarmaci.
Barbara Benini.